Riforma delle cure primarie/1. Regioni: “Questa volta non possiamo fallire”

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Su questo hanno concordato Borsellino (Sicilia), Bergamaschi (Lombardia), Coletto (Veneto), Lusenti (Emilia Romagna) e Marroni (Sicilia) nel corso del convegno promosso a Bologna sul tema. Per gli assessori alla sanità delle Regioni, in Italia ci sono esperienze che già funzionano e dimostrano che i tempi sono maturi. Ma servono risorse certe.

Di riforma delle cure primarie si parla ormai da anni, ma finora sono rimaste solo parole. Ora, però, la riforma delle cure primarie si farà. E questo perché “non possiamo non farla”. Ne sono convinti Lucia Borsellino, assessore alla Salute della Sicilia, Walter Bergamaschi, direttore generale Sanità della Lombardia, Luca Coletto, assessore alla Sanità del Veneto e coordinatore degli assessore regionali alla Sanità, Luigi Marroni, assessore alla Sanità della Toscana e Carlo Lusenti, assessore alla Salute dell’Emilia Romagna, che sul tema si sono confrontati nel corso della tavola rotonda promossa nell’ambito del convegno sulle cure primarie promosso dalle Regioni Toscana ed Emilia Romagna e in corso a Bologna oggi e domani.

Quattro le questioni su cui gli assessori sono stati chiamati a confrontarsi dal nostro direttore, Cesare Fassari, che ha moderato la tavola rotonda. Anzitutto su quali siano le condizioni che oggi renderebbero possibile una riforma che per anni non si è riuscita a realizzare. Poi su come questa riforma sarà affrontata nell’ambito del Patto per la Salute e sulla reale possibilità che tutto sia a “costo zero”. Infine su come le Regioni si porranno nei confronti dei medici di famiglia, protagonisti di questa riforma e delle trattative per il rinnovo delle convenzioni (l’11 aprile i sindacati sono stati convocati presso la Sisac).“La questione non è tanto se ci siano le condizioni per fare la riforma delle cure primarie, quanto il fatto che queste condizioni siamo obbligati a trovarle perché sulla riforma delle cure primarie non possiamo più permetterci attese né tentennamenti”, ha esordito Lucia Borsellino. Sulla stessa lunghezza d’onda gli altri rappresentanti delle sanità regionali presenti. Secondo Bergamaschi, comunque, questa potrebbe essere anche “la volta buona” perché “esistono tante esperienze partite dal basso, cioè dalle Regioni e dalle aziende, che oggi stanno raggiungendo livello di maturità e che potrebbero essere diffuse”. Secondo Marroni, inoltre, “anche la tecnologica è diversa rispetto a quella di alcuni anni fa e rappresenta un’ulteriore opportunità per il successo della riforma”. Secondo Coletto del resto si tratta di una necessità “legata anche alla revisione spinta portata dal decreto Balduzzi sull’organizzazione ospedaliera e la disponibilità do posti letto, che ha portato alla necessità di avere strutture intermedie per gestire meglio le domande di salute e anche le risorse”. Ma anche l’assessore alla Sanità del Veneto si dice ottimista: “Si può fare, molto Regioni lo hanno fatto”. SecondoColetto alcune, come il Veneto, sono “più fortunate perché hanno iniziato a farlo da anni”, ma “altre stanno recuperando il tempo perduto”. In ogni caso, la riforma va fatta ed “è necessario supplemento di energia di trovare soluzioni e dare seguito alla volontà perché se il mondo cambia, anche i modelli organizzativi devono cambiare”, ha dichiarato Lusenti, secondo il quale “esiste anche un consenso sociale su questo”. Per l’assessore alla sanità dell’Emilia Romagna questo ultimo aspetto andrebbe comunque verifica: “Dobbiamo chiedere ai cittadini cosa vogliono, di quali risposte hanno bisogno, perché da questo potrebbe arrivare indicazioni importanti”.

Sulla questione Patto per la Salute, secondo Borsellino esso rappresenta “il contesto regolamentare che può consentire alle Regioni di trovare possibilità per mettere a punto, sulla base dell’autonomia organizzativa di ciascuna, modelli che siano anche confrontabili e in equilibrio tra loro”. Bergamaschi ha sottolineato come il Patto per la Salute potrebbe diventare “il primo mattone per tradurre e dare indirizzo preciso normativo alle buone pratiche messe in atto a livello locale”. Per Lusenti, certamente, “non deve essere un Patto di semplice manutenzione e aggiustamento. Ce lo siamo detto anche con ministro. Deve essere Patto ambizioso. Con soluzioni sicuramente non facili ma da realizzare perché si tratta di soluzioni strategiche. Tra le quali bisogna includere l’approvazione del nuovo piano sociale sanitario, anch’esso scaduto da qualche mese”.

Ma questa riforma potrà essere realizzata a costo zero? “Sulle risorse le Regioni hanno chiesto certezza. Dobbiamo sapere su cosa possiamo contare e quale fonte potrà garantire risorse”, ha sottolineatoBorsellino, secondo la quale “la sola lotta agli sprechi non sarà sufficiente. Servono processi strutturali, ma si potrebbero anche riconvertire le risorse oggi impegnate in altre forme assistenziali che ne impegnano oltre il dovuto”. Secondo Bergamaschi, sarebbe meglio parlare di “saldo zero” piuttosto che di “costo zero”. Inoltre, per il direttore generale della sanità lombarda sarebbe necessario uscire dal modello di assistenza e rimborsi per prestazione, più corretto per le acuzie, ed entrare nella logica “del rimborso su tariffa di presa in carico, migliore quando si parla di cronicità”. Certo, “non possiamo accettare che le efficienze ottenute in sanità non siano reinvestite nel sistema”. Marroni ha voluto quindi ricordare ai colleghi che “oggi c’è un aumento costante e neanche tanto modesto del Fondo sanitario nazionale. Parliamo di quasi 3 miliardi nel 2014”. Marroni ha anche ricordato che il ministro ha assicurato tali risorse e lo stesso ha fatto il premier Renzi. Piuttosto, allora, l’assessore alla Sanità della Toscana ha voluto richiamare le Regioni a un atto di responsabilità: “Dobbiamo darci una mossa sulla riorganizzazione. Non si può star solo lì a dire ‘Ci servono più soldi’. Serve impulso di riorganizzazione guidata dalle Regioni. Altrimenti perderemo la leadership della sanità e diventeremo sempre più oggetti che subiscono le riforme e privi di credibilità”. Eventualità che Coletto ha fortemente respinto. “La sanità deve assolutamente rimanere di gestione su base regionale. È esperimento che, pur con i suoi limiti, ha dato buoni risultati e ha offerto anche al livello centrale di avere il controllo preciso sull’entità della spesa e sui livelli di prestazioni erogati”. Quanto alle risorse, per Coletto“l’economia non va gestita solo con i tagli. Serve una politica ma attiva per creare Pil, benessere e posti di lavoro”. Sulla sanità, è d’accordo Lusenti, servono “più chiarezza e più coraggio”, ma “in sanità a costo zero non c’è nulla” anche se, ha sottolineato Lusenti, “i costi non sempre economici. Ci sono costi sociali, costi umani, e bisogna contare anche quelli. Costi ci sono sempre e c’è sempre qualcuno che li sostiene”. Per Lusenti, comunque, bisogna uscire “dalla logica degli sprechi che dalla logica della competizione tra ospedale e territorio” e parlare di “migliore utilizzo delle risorse, anche azzerando gli sprechi, che è un dovere etico. Ma se vogliamo farlo, bisogna costruire una macchina diversa da quella di oggi che lo permetta”.

Riguardo ai medici di medicina generale, per Borsellino “è condiviso il principio che dà ai medici di medicina generale un ruolo fondamentale in questo percorso di riforma e si tratta di una partita pensa in partenza che pensiamo di non fidealizzare un numero così ampio di professionisti che hanno ruolo così determinante. Se le Regioni su questo fanno fronte comune, sarà più facile vincere le resistenze anche a livello locale”. Bergamaschi ha auspicato che nell’ambito della Convenzione ci sia “più apertura e flessibilità a diversi modelli di partecipazione e anche, perché no, di dipendenza”. Secondo Marroni, comunque, la riforma delle cure primarie è una opportunità anche per i medici di medicina generale “se sapranno coglierla”. L’assessore alla Sanità toscana si è detto certo che “ci sia un interesse oggettivo comune” ad alcuni cambiamenti come, ad esempio, ridefinire la guardia medica, sviluppare la medicina di iniziativa, diffondere l’uso di tecnologie e modelli di integrazione e multidisciplinarità, oltre ad investire in quella che Marroni ha definito  “manutenzione” delle professioni, inteso come “progetti, non tanto come convegni dove prendere crediti”. Per Marroni, il medico di medicina generale è stato e deve continuare ad essere la figura di riferimento dei cittadini. Lusenti ha però ricordato come le cure primarie siano fatte da tante professionalità e siano “luogo di integrazione”. La riforma, secondo Lusenti, non deve quindi “sminuire nessuno ma neanche creare gerarchie”. L’assessore alla sanità ha piuttosto voluto sottolineare che la sanità è un ambito in cui va trovato “il giusto equilibrio tra autonomia organizzativa e garanzia delle prestazioni” e “non può essere un mercato in cui i libero professionisti esercitano liberamente”. L’auspicio di Lusenti è che “tutti i contratti del personale sanitario trovino una strada di rinnovo e che questo sia processo che accompagnate da scelte di cambiamento e innovazione che mi sembrano solo necessarie, ma anche assolutamente possibili”. Per Coletto, comunque, “sarà possibile trovare un equilibrio facendo un atto di responsabilità sia da parte delle Regioni che da parte dei medici di medicina generale”. (Fonte: Quotidiano Sanità)