La crisi del medico. Una storia che inizia molti anni fa

Print Friendly

La crisi del medico c’è da un bel po’ di tempo  ma sino ad ora non è mai stata dichiarata. Per cui tutto – deontologia, formazione, prassi, contrattazione, organizzazione del lavoro,  ecc. –  è avvenuto come se essa non esistesse. Cioè come se tutto fosse normale.

Ho letto con puntigliosa curiosità il focus sui medici (Qs 18 marzo e 24 marzo). Con tutte le opinioni espresse  ho come  ricomposto  un ritratto del medico oggi, come nei quadri di  Arcimbolbo. Ne è uscita un’immagine della professione non grottesca o burlesca come in genere è questo tipo di pittura,  ma drammatica  e per certi versi disperata, al punto da farmi venire in menteGuernica di Picasso, cioè l’immagine di una città dopo un bombardamento aereo, il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde cioè l’ambivalenza conflittuale tra essere stati e essere diventati…e…infine  la fotografia del medico americano accasciato che inconsolabile si dispera per non essere riuscito a salvare la vita al suo malato.

Non intendo confutare i giudizi che sono stati dati perché  li condivido tutti ancorché  caratterizzati  negli ambiti a volte circoscritti di punti di vista  soprattutto sindacali e per questo  spesso appiattiti sulla problematiche professionali contingenti.

Quello che intendo fare è:

· spiegare il significato della parola sineddoche
· chiedermi  “perché”
· raccontare un viaggio che è cominciato tanti  anni fa.

Prima però vorrei rimarcare un dato di verità: tutti nessuno escluso hanno  affermato che la crisi del medico pur spiegandola con cause, forme  e modalità diverse, esiste. La crisi c’è. Ebbene quando a metà degli anni ‘80  ho cominciato a studiarla, essa  era negata, cioè non era ammessa, per la semplice ragione  che la condizione del medico in quegli anni non era così drammatica come ora anche se non mancavano vistosi segni precursori.

In sostanza la crisi del medico c’è da un bel po’ di tempo ma sino ad ora non è mai stata dichiarata… per cui tutto… deontologia, formazione, prassi, contrattazione, organizzazione del lavoro,  ecc.  è avvenuto come se essa non esistesse…cioè come se tutto fosse normale. Nessuno degli intervistati  ha fatto cenno alle responsabilità dirette della professione  sui ritardi e sulle sottovalutazioni che si sono accumulate  nel tempo. Tutti hanno parlato di crisi come se i medici  fossero solo delle vittime innocenti di politiche dissennate …il che per certi versi è vero…ma se dobbiamo dire tutta la verità….va anche detto  che il medico…con tutti i suoi numerosi  e costosi apparati rappresentativi…quanto meno ha la responsabilità storica di non essere riuscito in tempo a capire quello che gli stava accadendo.

Quando si dichiara una crisi (i governi insegnano) ci si organizza prima di tutto per fare delle consultazioni (dibattiti, studi, ricerche ecc), con lo scopo di proporre delle soluzioni. La crisi del medico, che secondo me essendo strutturale  cioè paradigmatica e non congiunturale come sostengono certi commenti, riguarda tutte le professioni, almeno tutte quelle che rientrano nell’area clinica, non è una questione corporativa  ma è primariamente una questione politica perché i suoi effetti ricadono  direttamente  sulla collettività come l’inquinamento, il dissesto geologico, la disoccupazione, ecc.

Per questa ragione essa va dichiarata ufficialmente  e unitariamente dagli ordini, dalle società scientifiche e dai sindacati. E’ inutile lamentarsi di Renzi che pensa solo alla scuola…se  non spieghiamo  la crisi come una questione  a forte impatto sociale cioè se la responsabilità politica della crisi non è denunciata…come si può pretendere che essa diventi una questione prioritaria del governo?

Nell’estate del 2008 la Fnomceo organizzò a Fiuggi  la prima conferenza nazionale della professione medica, che si concluse  con  una piattaforma unitaria orientata al  futuro. Dopo la conferenza…l’inconseguenza. Recuperiamo questa piattaforma, dichiariamo la crisi ai quattro venti, e aggiorniamo la linea. Si torni a Fiuggi,  la Fnomceo organizzi  gli stati generali della professione…mettiamo su una bella manifestazione sui “doveri  impossibili “ (QS 18 marzo 2015) …e poi  pancia a terra …trovando le giuste interconnessioni e alleanze con le altre professioni…  “avanti Savoia”.

Quanto alla “sineddoche” come tutti sanno è una figura retorica  con la quale si usa la parte per indicare il tutto. La crisi del medico è una sineddoche della crisi della medicina e della sanità.  A parte pochi accenni per altro generici alla formazione e all’università, nessuno dei commenti che ho letto, sembra consapevole dello stretto legame che esiste  tra i problemi del medico e quelli della  medicina, tra atto, opera e agente, tra agente e contesto, e tutte le loro spiegazioni si riferiscono prevalentemente  alla sanità…perpetuando  due gravi  errori.

Gli stessi che, almeno negli ultimi 30 anni, hanno fatto in modo che i medici non capissero che nella loro miopia progressiva  stavano imboccando proprio la strada della crisi:

· considerare la medicina una conoscenza paradigmatica  invariante mentre a partire dal secondo dopo guerra essa  è al centro di epocali  mutamenti strutturali  e sovrastrutturali di natura sociale e economica, che inevitabilmente si ripercuotono sul modo di essere medico.
· considerare la medicina vale a dire il mondo dei contenuti, dei modi, dell’uso pratico delle conoscenze e quindi del modo di applicarle   (know-how)  come implicitamente sussunto nella sanità vale a dire il mondo dei contenitori, dei mezzi, delle risorse ,dei servizi (hardwere).

Medicina e sanità sono due mondi distinti con forti implicazioni complementari da sempre  tutt’altro che culturalmente socialmente e economicamente invarianti. L’invarianza l’ho detto tante volte in realtà è dovuta alla nostra regressività difronte al mondo che cambia, cioè è quando  per  le nostre scarse capacità riformatrici, non riusciamo a  rispondere ai mutamenti in corso. La crisi del medico, quella che da anni definisco “questione medica” è in gran parte riconducibile a problemi  diversi di regressività e a diversi problemi  finanziari e economici.

Anche pensando di togliere tutti i condizionamenti economici di cui si lamentano gli operatori, la crisi professionale di tutte le professioni, resterebbe perché resterebbero insoluti  tutti i problemi di regressività (contenzioso legale, medicina difensiva, fallibilità, delegittimazione, disumanizzazione, scientismo, eccesso di proceduralismo, nozionismo, fisicalismo, deontoligismo, ecc.).

Molti commenti del focus rimandano inequivocabilmente a quel rizoma complesso che configura la crisi del medico come una questione a molte questioni (la perdita di identità o di ruolo, la perdita del governo clinico, il deterioramento delle relazioni con il malato, la svalutazione del lavoro…ecc.). Lo sforzo che dobbiamo fare è evitare le spiegazioni troppo semplificate e porre soprattutto due domande “perché” e “come”.

A queste domande non si può rispondere seriamente senza partire:

· dai grandi mutamenti  che hanno ridiscusso profondamente  il primo  explanandum della medicina e del medico…cioè il malato… le sue necessità. ..le sue filosofie dell’esistenza…quindi la società…perché la medicina è e resta soprattutto una impresa sociale
· dalle  implicazioni strette che vi sono tra etica scienza economia e organizzazione cioè dalle contraddizioni crescenti che si sono create  con la ridiscussione del welfarismo, tra questi sottoinsiemi di valori  con la compromissione di storici equilibri di compossibilità.

La crisi del medico c’è, esiste, è innegabile come una matrioska essa probabilmente è il “seme”, la crisi più piccola, dentro una “madre” una  crisi di crisi più grande.  Nel prossimo articolo vi racconterò il mio viaggio in questa crisi cominciato  esattamente 29 anni fa quando poco più che un ragazzo tra lo sconcerto dei più, appena approvata la riforma sanitaria, leggevo i mutamenti che mi sembrava di vedere convinto che avremmo dovuto  ridiscutere il paradigma della tutela alla quale quella riforma  si era ispirata. (Fonte: Quotidiano Sanità)

Ivan Cavicchi