Osservasalute 2013: Gli italiani stanno bene ma i servizi hanno il fiato corto. E i «tagli» rischiano di moltiplicare la spesa, che in 12 province è fuori controllo

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Migliora lo stato di salute degli italiani, ma i servizi sanitari soprattutto al Sud sprofondano. E migliorano i bilanci di Asl e ospedali, ma con i soliti buchi neri nei bilanci al Sud. E non solo. E 12 province si fanno notare in negativo per le perdite sopra le righe (oltre il 5% del bilancio, il limite scritto nel Patto per la salute 2010-2012 oltre il quale si devono mettere in campo interventi di reiquilibrio). Sono: Rovigo, Venezia, Massa Carrara, Roma, Rieti, Napoli, Campobasso, Taranto, Brindisi, Cosenza, Ogliastra, Medio Campidano. (Ecco La griglia degli indicatori)

Pessime notizie, poi, arrivano dal fronte dell’informatizzazione. La sanità 2.0 stenta infatti a decollare e Asl e ospedali restano “internet-sauri”. Il gap più profondo riguarda gli ospedali del Sud Italia, anche sul fronte dell’utilizzo di canali web (soprattutto per social) nella comunicazione con i cittadini-utenti. Facebook, twitter o Youtube sono quasi sconosciuti: appena il 34% delle Asl utilizza almeno un canale web 2.0 per comunicare con gli utenti, si sale al 44% per ospedali e Istituti di ricerca e cura a a carattere scientifico.

E’ questo in estrema sintesi il ritratto dell’Italia tracciato dall’undicesimo rapporto Osservasalute 2013, presentato oggi a Roma e pubblicato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che ha sede presso l’Università Cattolica. Coordinato da Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma e da Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio, il Rapporto è frutto del lavoro di 165 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti, distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali.

Il quadro economico.Gli indicatori economici presi in esame testimoniano che siamo entrati in un periodo di reale contrazione delle risorse impegnate dal Ssn, infatti la spesa, già dal 2010, ha iniziato a diminuire (da 100,3 miliardi del 2009 a 100,1 miliardi di euro del 2010), delineando un trend che si è andato rafforzando nel 2012 anche a valori correnti (-1,8% rispetto al 2011). A questo dato fa riscontro la diminuzione della spesa per la remunerazione del personale sanitario, scesa nel 2011 a 36,149 miliardi di euro, con un decremento dell’1,4% rispetto al 2010.
Altro segnale di riduzione della spesa pubblica arriva dall’aumento di spesa a carico delle famiglie per sostenere il pagamento della quota di compartecipazione e dei ticket per il consumo di farmaci: la spesa sostenuta da ciascun cittadino per l’acquisto di farmaci è più che raddoppiata in meno di dieci anni, passando infatti da 11,3 € del 2003 a 23,7 € nel 2012, ovvero è passato dal 5,2% del totale della spesa per farmaci, al 12,2% di essa.

Sul versante dell’offerta, il dato che colpisce e che dà il senso della fase in cui ci troviamo è rappresentato dalla dotazione di personale nelle strutture pubbliche che, dal 2010, sta subendo evidenti contrazioni, come testimonia il tasso di turnover sceso oltre il 78%. Si evidenzia, come già negli anni precedenti, una progressiva riduzione del turnover del personale (nuovi assunti a sostituire il personale in pensionamento) e quindi una forte carenza di personale giovane, con riflessi negativi sull’occupazione qualificata del Paese e depauperamento progressivo delle sue migliori risorse che cominciano ad andare all’estero.

In più, Osservasalute fa quest’anno un’analisi diversa dal solito dei bilanci sanitari: per province, che ormai quasi si sovrappongono alle aziende sanitarie. E nel periodo 2011-2012 evidenzia Regioni uniformemente caratterizzate da risultati positivi o nulli rispetto alla solgia del 5% (Lombardia, Trento, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Marche) o da perdite contenute (Piemonte, Valle d’Aosta, Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna, Basilicata) e Regioni in cui una sola provincia registra perdite elevate. Undici regioni hanno almeno una provincia in equilibrio economico: di queste, 5 sono Centro-Meridionali. Le 12 rimanenti situazioni più critiche sono distribuite tra 8 Regioni (Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna), con un massimo di due situazioni critiche per regione in Veneto (Rovigo e Venezia), Lazio (Roma e Rieti), Puglia (Taranto e Brindisi) e Sardegna (Ogliastra e Medio Campidano.

La salute dei cittadini. Si vive di più, soprattutto gli uomini, ed è evidente che la prevenzione secondaria – non quella primaria, che lascia ancora a desiderare quanto a promozione degli stili di vita – sta dando i suoi frutti: cala infatti la mortalità per malattie, come quelle del sistema cardiocircolatorio, legate a doppio filo a efficacia e tempestività delle cure. Innovazione e diagnostica hi-tech, messe a disposizone in regime pubblico, contribuiscono a uno stato di salute complessivamente buono. Dall’altra parte, c’è la realtà di servizi sanitari in affanno, soprattutto nelle realtà del Sud nelle regioni già gravate dal peso dei piani di rientro e caratterizzate da un’utenza debole per eccellenza.

Dalla lettura di alcuni indicatori, giungono timidi segnali positivi, come dimostra la diminuzione della mortalità per le malattie del sistema cardiocircolatorio, che hanno contribuito in misura maggiore all’aumento della speranza di vita in Italia. Dal 2006 al 2010 i tassi di mortalità per queste malattie sono passati per i maschi da 41,1 per 10 mila individui a 37,2 per 10 mila, per le femmine da 28,4 per 10 mila individui a 26 per 10 mila.
Questo dato è molto positivo, poiché si tratta di patologie per le quali l’attività di prevenzione gioca un ruolo centrale, per cui l’indicazione può essere interpretata come un risultato positivo del sistema.

Passato glorioso, futuro incerto. «Il Servizio sanitario italiano è caratterizzato da un passato glorioso, un presente problematico e un futuro incerto – spiega Ricciardi -: purtroppo il primato nei risultati di salute, come la speranza di vita alla nascita, è minacciato da una tendenza a una nuova divergenza Nord-Sud che si osserva negli ultimi vent’anni, una tendenza che è parallela all’aumento delle disuguaglianze di reddito e di istruzione. Il nostro Paese si caratterizza oggi come quello più eterogeneo in Europa con sacche di inefficacia, inefficienza, ingiustizia che in un federalismo mal disegnato e peggio gestito sono destinate ad aumentare, e che l’attuale disegno di revisione costituzionale non aiuta certo ad affrontare, nonostante le migliori intenzioni. Nell’ultimo periodo, la problematica che emerge in maniera forte è la sostenibilità di un sistema sanitario pubblico, nato sulla base di bisogni di salute e di spinte ideali, ma senza una adeguata programmazione, organizzazione e gestione». I risparmi obbligati di oggi – è la tesi – rischiano du moltiplicare la spesa nei prossimi dieci anni. «E’ per questo particolarmente importante che le scelte, ad ogni livello, siano supportate da dati quantitativi, raccolti e analizzati in modo rigoroso, per diventare una indispensabile premessa che permetta di capire come si possa concretamente agire per costruire un sistema sanitario etico, equo e di valore su tutto il territorio nazionale. Si tratta di una sfida da vincere a tutti i costi per poter rispondere, progressivamente, alle incalzanti domande di un futuro prossimo caratterizzato da un innalzamento dell’età media della popolazione, dal conseguente aumento delle patologie croniche invalidanti e, quindi, da una maggiore richiesta di servizi, a fronte però di risorse economiche ed umane sempre più esigue. Per evitare una catastrofe sociale già all’orizzonte».

Equità addio. «Non ci siamo sul piano dell’equità – prosegue Solipaca – i cittadini del Mezzogiorno continuano ad avere una salute peggiore, in termini di speranza di vita (tra gli uomini 78,8 anni nelle regioni del Mezzogiorno, contro il 79,7 del Centro-Nord; tra le donne, 83,9 anni nel Mezzogiorno, 84,7 nel Nord e 84,8 nelle regioni centrali), inoltre tali divari si riscontrano anche in ambito sociale, poiché nel nostro Paese sono ancora le classi sociali medio-alte a godere di uno stato di salute migliore. In conclusione il Rapporto Osservasalute descrive un sistema sanitario pubblico alla ricerca di migliori equilibri, stretto dalla morsa finanziaria, ma in grado di assolvere tra mille difficoltà la sua funzione principale. La tenuta del sistema dipenderà molto dalle scelte che si faranno in futuro, il timore è legato al frequente ricorso ai tagli lineari come unico strumento di governance della spesa e alla sensazione, a giudicare dalla cronaca quotidiana, che una grossa parte di responsabilità rispetto alla crescita della spesa osservata negli anni si possa attribuire agli elevati livelli di corruzione e ai conflitti di interesse di cui soffre questo settore».

Questa l’analisi di Osservasalute per i singoli indicatori

Stili di vita carenti. «Sulla ridotta mortalità gioca un ruolo importante anche la disponibilità di farmaci più efficaci e il continuo sviluppo della diagnostica strumentale – aggiunge Alessandro Solipaca – si tratta, quindi, di un successo della medicina e non degli stili di vita degli italiani che, a parte qualche incoraggiante segnale positivo, restano nel complesso scorretti». Infatti, guardando alla prevenzione primaria, se da un lato si conferma il trend in lenta discesa della prevalenza dei fumatori (nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 e nel 2011 il 22,3%, nel 2012 fuma il 21,9% degli over-14) e la diminuzione dei consumatori a rischio di alcol (12,5% nel 2011 contro il 13,4% del 2010 tra gli adulti di 19-64 anni e 11,4% nel 2011 contro il 12,8% del 2010 tra i giovani di 11-18 anni), dall’altro si riscontra il persistente aumento delle persone in eccesso di peso. Infatti, complessivamente, il 46% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009, il 45,9 nel 2010, il 45,8 nel 2011). Gli obesi passano dal 10% degli italiani nel 2011 al 10,4% nel 2012). Inoltre, tra i minori quasi il 27% di quelli tra 6 e 17 anni è sovrappeso o obeso.
Si registra, inoltre, la scarsa pratica sportiva (nel 2012 la percentuale di sportivi assidui come nel 2011 si assesta sul 21,9% della popolazione con età ≥3 anni). Riguardo all’eccesso di peso nei bambini, deve far riflettere il fatto che questo fenomeno è maggiormente presente nelle famiglie con basso livello di istruzione, ciò suggerisce la necessità di implementare politiche di prevenzione idonee a raggiungere anche le fasce di popolazione appartenenti alle classi sociali meno istruite.

L’alcol resta uno «zoccolo duro». «Nonostante qualche timido segnale di attenuazione del fenomeno del consumo alcolico a rischio – afferma Emanuele Scafato dell’Istituto superiore di Sanità, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) – l’analisi complessiva dei dati evidenzia la presenza di uno “zoccolo duro” di individui che contribuiscono a rendere consolidato nel corso degli anni un fenomeno che, nonostante gli interventi di prevenzione, di comunicazione, di sensibilizzazione, non riesce a cogliere l’atteso obiettivo di contrasto all’uso rischioso e dannoso di alcol e di sostanziale diminuzione dell’impatto alcol-correlato. Sono ancora troppi i consumatori, adulti, a maggior rischio e coloro che bevono per ubriacarsi, in particolare i giovani e i minori che bevono secondo modalità di binge drinking che non possono essere associate esclusivamente a culture trasgressive o di tendenza, ponendo un serio problema di legalità e di rispetto delle norme previste a tutela dei minori. Il settore della prevenzione può fare tanto ma molto dipende, evidentemente, dall’attivazione di altre e ulteriori competenze».

Lieve miglioramento per raccolta diferenziata e incidenti stradali. Altri indicatori in lieve miglioramento, al quale però contribuiscono anche altri settori pubblici, si riscontrano nei dati relativi alla raccolta differenziata e in quelli sugli incidenti stradali. Lo smaltimento differenziato dei rifiuti, nel 2012, è aumentato del 2,2 punti percentuali rispetto al 2011, soprattutto grazie alle regioni del Mezzogiorno. Gli incidenti stradali sono in diminuzione (-42,4% tra il 2001 e il 2010), così come i feriti e i decessi. Nel 2012 gli incidenti stradali con lesioni a persone sono stati 186.726 ed hanno causato 3.653 morti e 264.716 feriti con lesioni di diversa gravità. Rispetto all’anno precedente si riscontra una diminuzione del 9,2% del numero degli incidenti e del 9,3% di quello dei feriti (studi della Commissione europea). Il numero dei morti ha subito un decremento del 5,4% (dati Istat). Tale riduzione, tuttavia, non è ancora sufficiente per rispettare l’obiettivo fissato dall’Unione Europea che prevedeva di dimezzare, nello stesso lasso di tempo, i decessi.

Un Paese sempre più anziano e ringiovanito solo dagli stranieri.
L’Italia è sempre più popolata da anziani (negli ultimi dieci anni sono più che raddoppiati gli ultracentenari, mentre si registra l’aumento della popolazione femminile all’aumentare dell’età) e una fascia di popolazione sempre più ampia non è autonoma, nel senso che dipende da altri dal punto di vista economico. Lo si vede da alcuni nuovi indicatori presi in esame per la prima volta in questa edizione del rapporto e precisamente l’indice di vecchiaia (IV) che rappresenta un indicatore sintetico del grado di invecchiamento della popolazione e si ottiene rapportando l’ammontare della popolazione “anziana” (65 anni e oltre) e quello dei bambini (0-14 anni). L’IV descrive un’Italia sempre più anziana: calcolato per il complesso dei residenti (italiani più stranieri) è pari nel 2011 a 148,7: in altre parole ogni 100 giovani di età minore di 15 anni risiedono in Italia oltre 148 persone di 65 anni e oltre. L’IV assume valori particolarmente elevati in Liguria (238,4 per 100), Friuli Venezia Giulia (190 per 100) e Toscana (187,3 per 100). All’opposto, valori contenuti si sono registrati in Campania (101,9 per 100), nella PA di Bolzano (111,1 per 100) e Sicilia (126,2 per 100).

Il Paese è ringiovanito dagli stranieri, infatti italiani e stranieri hanno una struttura per età estremamente differente. L’IV per gli italiani è pari a 163,6 (per 100) contro l’11,6 (per 100) di quello calcolato per i residenti con cittadinanza straniera. I cittadini stranieri, quindi, contribuiscono a “ringiovanire” la popolazione residente e presentano valori dell’IV particolarmente contenuti a causa sia dello scarso peso della popolazione anziana che dell’alta natalità.
Poi c’è l’indice di dipendenza (ID) che rapporta la quota delle persone teoricamente dipendenti da un punto di vista economico (ossia i più giovani e i più anziani) alle persone in età da lavoro, che si presume debbano sostenerle. A livello nazionale, l’ID è pari a 53,5: ovvero, ogni 100 persone in età attiva (15-64 anni) ce ne sono 53,5 che per motivi di età sono potenzialmente da loro “dipendenti”. Anche in questo caso il valore più elevato si registra in Liguria (63,8 per 100), mentre quello più contenuto in Sardegna (47,7 per 100). Lo stesso indicatore calcolato per i residenti stranieri è pari a 29,1 (per 100). Il Ssn e l’identikit del personale. La spesa corrente pubblica sul Pil si presenta ancora molto variegata fra le regioni con un netto gradiente Nord-Sud ed Isole. «È una situazione che si registra da anni – rileva il professor Ricciardi – e non accenna a modificare l’andamento. e testimonia che alcune Regioni hanno maggiori risorse di altre per garantire i LEA ai loro cittadini».
Per omogeneizzare le risorse e renderle più rispondenti alle condizioni di salute della popolazione, sarebbe auspicabile che si procedesse ad un’analisi integrata dei diversi indicatori disponibili al fine di tarare meglio i criteri di ripartizione delle risorse basandoli sulle reali condizioni di salute della popolazione, continua il professor Ricciardi. Al tempo stesso, sarebbe opportuno che le regioni adottassero tecniche di programmazione delle attività sanitarie e delle correlate risorse (strumentazioni, personale e altri beni) in modo da evitare inutili duplicazioni o situazioni di carenze strutturali che conducono ad una lievitazione della spesa.

Migliorano i bilanci delle Asl. L’analisi di alcuni indicatori calcolati utilizzando i dati dei bilanci della Asl (che nel Rapporto sono analizzate come aggregati provinciali, ovvero come la somma di tutte le Asl dislocate in ciascuna provincia) evidenzia che si sono ridotti di molto gli aggregati provinciali con deficit molto elevati (ossia deficit superiori al 5% dei proventi): sono solo 12 aggregati nel biennio 2011-2012, contro i 52 del triennio 2002-2004. Inoltre gli aggregati provinciali con forti deficit non sono concentrati dal punto di vista geografico (al massimo sono due per regione, in contrapposizione al triennio 2002-2004, in cui ben sette regioni si caratterizzavano per la presenza di perdite elevate in tutti gli aggregati provinciali). L’esame contabile presentato nel Rapporto dice che il finanziamento pro capite dal fondo sanitario regionale è più basso per le Aziende con bilancio in deficit (nel biennio 2011-2012 si attesta, in media, tra 1.647 euro e 1.752 euro pro capite per le aziende in avanzo di bilancio, mentre per quelle in deficit tra i 1.551 e i 1.672), così come la loro capacità di reperire finanziamenti aggiuntivi (tra 48 e 51 euro pro capite per le aziende con bilanci in attivo e tra 39 e 43 per quelle in deficit).

I risultati positivi riscontrati negli ultimi anni nei bilanci non devono, però, far dimenticare che il contenimento della spesa dovrebbe incidere su situazioni di inefficienza e inappropriatezza, quindi salvaguardare gli attuali livelli di servizio. Tuttavia, in molti casi, risparmio e razionalizzazione sono stati perseguiti tramite “tagli lineari” sul finanziamento, nella speranza di indurre le aziende a “fare lo stesso con meno”, senza introdurre le opportune innovazioni di prodotto (il mix di servizi offerti) e di processo (le modalità di produzione ed erogazione dei servizi).

Il personale sanitario è donna e “anziano”. A livello nazionale nel 2011 il personale dipendente del SSN è composto, prevalentemente (75,5%) da persone di 40-59 anni. I dati mostrano che è più elevata la quota di personale di età maggiore o uguale a 60 anni (5,0%) rispetto a quella di età minore di 30 anni (3,0%). A livello regionale, su quest’ultimo aspetto, si registra un marcato divario Nord-Sud ed Isole: infatti, nel Nord è più elevata la percentuale di personale di età minore di 30 anni (in particolare, in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), mentre nel Centro-Sud ed Isole prevale la componente di personale di età maggiore di 60 anni (in particolare, nel Lazio, in Campania e in Sicilia).
L’analisi mostra anche che le donne rappresentano il 64,7% del personale dipendente, mentre gli uomini il 35,3% (dati Conto Annuale, Ragioneria Generale dello Stato). Per quanto riguarda il personale di età <50 anni, le donne sono più numerose degli uomini in tutte le regioni; si osserva la stessa statistica per la fascia 50-59 anni in tutte le regioni tranne che per la Campania, la Calabria e la Sicilia. Sostanzialmente l’organico del Ssn ha subito una contrazione, come evidenziato dal rapporto tra personale pensionato e nuovi assunti (compensazione del turnover) che è sempre inferiore a 100 dal 2008 al 2011 (97,2 96,8 81,9 78,2). Analizzando il trend tra il 2008 e il 2011 si evince che il tasso di compensazione si e costantemente ridotto nel periodo considerato, arrivando a segnare 78,2 punti percentuali nel 2011.

La mobilità ospedaliera. Ancora tanti, e in leggero aumento, i “viaggi per la salute” da Sud a Nord. Il Rapporto analizza quest’anno la mobilità ospedaliera, ovvero gli spostamenti interregionali dei pazienti per sottoporsi a cure e interventi chirurgici che richiedono un ricovero. Il fenomeno della mobilità ospedaliera di una regione esprime la capacità di attrarre pazienti che risiedono in altre regioni. In tal caso si parla di mobilità attiva, mentre si parla di mobilità passiva quando la tendenza dei pazienti è di emigrare fuori regione.

La mobilita dei ricoveri per acuti in regime di ricovero ordinario (Ro) risulta in leggera crescita: era il 6,9% dei ricoveri (delle dimissioni per acuti in Ro) nel 2002, il 7,4% nel 2007 e il 7,5% nel 2012. Invece se guardiamo al numero dei ricoveri fuori regione in valore assoluto, complessivamente si osserva un trend decrescente: si passa da 606.192 dimissioni in mobilità nel 2002 a 575.678 nel 2007 e 505.675 nel 2012. ma i valori assoluti diminuiscono perché diminuiscono negli anni i ricoveri nel loro complesso e non, quindi, perché si riducono i viaggi della salute. Tutte le regioni meridionali e insulari presentano un saldo negativo dei ricoveri in mobilità, ossia si rileva un’eccedenza delle emigrazioni, con la sola eccezione del Molise. Tra queste, nel 2012, spicca il saldo negativo della Campania. Anche tra le regioni del Nord ci sono quelle con saldo negativo come Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e PA di Trento. Consistenti saldi positivi si rilevano per Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. (Fonte: Il Sole24Ore Sanità)

 

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