CASE DELLA SALUTE

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Ed intanto Toscana, Marche, Emilia e Veneto fanno marcia indietro

I medici si ribellano alle case della salute

A Roma 14 strutture per svuotare gli ospedali I dottori di famiglia: non deportateci lì dentro

 

 

 

 

 

Oltre tremila studi medici di base a rischio chiusura nel Lazio, più di 1.200 collaboratori fra segretarie e infermieri che potrebbero perdere il posto di lavoro. E interi quartieri, o piccoli paesi, che non si troverebbero più il loro medico di famiglia a portata di mano. È questa l’altra faccia delle «case della salute», i nuovi ambulatori distrettuali aperti h24 e formati da medici di base, specialisti ambulatoriali, infermieri, fisioterapisti e altri tecnici, previsti nel piano di applicazione da parte della Regione Lazio relativo al Decreto Balduzzi in tema di riforma sanitaria, almeno secondo quanto denuncia lo SMI, Sindacato Medici Italiani, del Lazio.

La discussione è ancora aperta (le case della salute dovranno essere aperte nel corso del 2014) ma ad oggi queste strutture, pensate per alleggerire il massiccio (e molto spesso inutile) afflusso che congestiona i pronto soccorso di tutto il territorio regionale, dovrebbero essere finanziate sottraendo ai medici di famiglia le indennità che percepiscono per i collaboratori, il mantenimento delle strutture e l’informatizzazione. «Circa 16mila euro l’anno», sostiene il sindacato medici. Così, pur non essendone obbligati, la maggioranza dei 4.824 dottori laziali si troverebbe costretta a chiudere il proprio studio medico, facendo gradualmente confluire i pazienti direttamente presso le nuove strutture, previste in ogni municipio romano. Fenomeno che andrebbe di fatto a modificare tutto il panorama dell’assistenza sanitaria territoriale.

«Se la bozza è questa – spiega PINA ONOTRI, dirigente sindacale SMI e medico di base – diventerebbe antieconomico e impossibilitante continuare l’attività di base. Deportare tutti i dottori di medicina generale lì dentro significherebbe lasciare scoperte tante zone e snaturare il rapporto fiduciario con i pazienti».

L’esempio è classico, ma efficace: quello della persona anziana che dovrà prendere due autobus per recarsi dal suo medico. Insomma, secondo la ONOTRI, se il piano è quello di alleggerire il lavoro dei pronto soccorso, la strada non è quella giusta: «La nostra è medicina preventiva – afferma – facciamo un lavoro diverso dal pronto soccorso. Possiamo dare una mano, ma smantellare il “medico di famiglia” è impensabile».

Ogni medico di famiglia percepisce fra i 3,70 e i 4 euro lordi ad assistito (massimo 1500 pazienti). Da questi soldi vanno scorporate tasse e contributi, le indennità per il mantenimento dello studio (affitto, luce e gas) e da qualche mese anche l’acquisto di «attrezzi del mestiere» come flebo, lenzuolini per i lettini e perfino le siringhe. A rischio anche il lavoro delle segretarie di studio. Ad oggi, ogni medico riceve un’indennità utile a pagare fra il 40 e il 60% dello stipendio delle collaboratrici. «Tante perderanno il posto di lavoro, riportando la medicina di base ai tempi dei film di Alberto Sordi, se non peggio».

Come detto, per ora il Lazio vive ancora una fase di concertazione fra Regione, operatori e parti sociali. L’unico atto formale è stato il decreto del commissario ad acta (che poi è lo stesso presidente Nicola Zingaretti) che recepisce quello noto come Decreto Balduzzi ratificato dal Parlamento. Dall’entourage del Governatore, tuttavia, parlano di «massima apertura al dialogo»: «Le novità spaventano, ma in altre regioni come Toscana ed Emilia Romagna le case della salute stanno funzionando alla grande. Stiamo comunque preparando una proposta di accordo con i medici di base che verrà presentata direttamente da Zingaretti al momento opportuno. Nessuno vuole smantellare gli studi medici di base, tutt’altro».

Lo stesso presidente Zingaretti, alla vigilia di Natale, ha confermato che la strada intrapresa è quella giusta e che non si torna più indietro: «Abbiamo individuato le sedi, abbiamo qualche giorno di ritardo ma il lavoro sta andando avanti. Ci siamo dati l’impegno di presentare i primi di gennaio il cronoprogramma con data, logo, personale e protocolli a sostegno». Un attesa decisa in via precauzionale: «Preferiamo aprirle senza imbrogli – ha aggiunto – quindi non aprire cantieri dentro i quali poi non corrisponde un servizio efficiente. È vero, abbiamo due o tre settimane di ritardo, ma sta andando avanti un lavoro che porterà presto ad aprire, innanzitutto nelle province e poi a Roma, le Case della salute». Medici di base permettendo.

Vincenzo Bisbiglia