Big Data e Sanità: molte opportunità e qualche rischio

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I dati descrivono i fenomeni e ne prevedono gli esiti, sollecitando l’introduzione di nuove regole per contrastare o favorire un determinato andamento. Da queste potenzialità deriva la loro utilità per la sanità che da un uso intelligente dei dati può trarre vantaggio per rendere più efficace l’assistenza ai cittadini. Il punto del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio

Volume, velocità, variabilità: ma anche valore e veridicità. Le caratteristiche dei big data sono tali da renderli potenzialmente essenziali per la sanità di domani. Il Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio ha curato un approfondimento sul tema nell’ambito del progetto Forward.

I dati descrivono i fenomeni e ne prevedono gli esiti, sollecitando l’introduzione di nuove regole per contrastare o favorire un determinato andamento. Da queste potenzialità deriva la loro utilità per la sanità che da un uso intelligente dei dati può trarre vantaggio per rendere più efficace l’assistenza ai cittadini. Si inizia a parlare molto delle applicazioni dei big data alla governance sanitaria: promettono migliore qualità nei percorsi di cura, favorendo al contempo una medicina capace di monitorare l’intera popolazione e il singolo individuo, studiando la possibilità di interventi mirati e personalizzati.

I dati sono essenziali anche in un’ottica di maggiore efficienza dei servizi sanitari, capaci di fornire utili indicazioni per il contenimento di costi o per ottimizzare la gestione delle risorse. Infine, in uno scenario caratterizzato da una sempre più attenta gestione del personale, gli analytics possono favorire la pianificazione dei flussi di lavoro e quindi aumentare la produttività.

Per far decollare i big data in sanità – spiega il ricercatore all’università di Harvard, Griffin M. Weber, sull’approfondimento del progetto Forward da poco pubblicato – servono tre condizioni. La prima è la volontà da parte delle istituzioni di rendere i dati pubblici, con una modalità che li renda interoperabili con quelli di altri centri, iniziative e fonti. Volontà che deve assecondare uno sviluppo tecnologico capace di produrre dispositivi e connettività e l’esigenza di ridurre i costi sanitari. Non mancano le difficoltà. Spesso è negato l’accesso alle informazioni, servono sistemi per valorizzare e rendere più sicura la condivisione dei dati e occorre organizzarsi per governare un mercato emergente valutando attentamente gli aspetti etici.

A che punto è l’Europa? Stiamo già sfruttando tale opportunità in ambito sanitario e abbiamo costruito infrastrutture e figure professionali in grado di gestirla? In realtà, il contesto è ancora parzialmente impreparato ad affrontare la transizione verso un utilizzo sempre più intenso dei big data: soprattutto non si è ancora in possesso degli strumenti utili per limitare l’egemonia di pochi player, che potrebbero detenere dati importanti. E’ un altro dei problemi discussi da Forward: il progetto del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio ha voluto dedicare ampio spazio al problema della privacy e della sicurezza, dando rilievo alle posizioni di chi, come Evgeny Morozov, non perde occasione di esprimere le proprie riserve sulla posizione di privilegio di poche aziende statunitensi che sfruttano a proprio vantaggio la cosiddetta economia della condivisione.

Tuttavia non manca l’impegno delle istituzioni europee per definire direttive che si occupino della e-health e dei problemi legati alla privacy. Nonostante il ritardo rispetto agli Stati Uniti, il vecchio continente ha una posizione di rilievo nel mercato dei big data, con utili pari al 20% dei profitti globali.  Ma l’Europa non deve solo reggere il confronto con altri attori che si affacciano sul mercato globale: spesso, le disparità si manifestano anche tra gli Stati comunitari. Se si volesse allargare l’utilizzo dei dati a una dimensione sovranazionale, come ad esempio in caso di una crisi che coinvolgesse più territori, si dovrebbe risolvere il problema dell’eterogeneità delle banche dati, della frammentarietà delle istituzioni e delle legislazioni, o della varietà dei protocolli di protezione della privacy.

E’ necessario trovare soluzioni in breve tempo. Per questo sono sorte iniziative come il progetto BYTE, che si occupa di concertare l’azione europea e di misurare l’impatto dell’introduzione dei big data sulla società, cercando di rafforzare i benefici e di limitare i possibili esiti negativi. Anche il “volume” dei dati può rappresentare un problema, oltre che un’opportunità: stiamo assistendo a una crescita esponenziale dei dati provenienti dall’ambito sanitario, ma nell’80% dei casi sono informazioni non strutturate. Per rispondere alla varietà dei dati e dei protocolli usati per gestire i dati e per cercare un’armonizzazione tra le informazioni raccolte in Europa, è nato lo European Open Science Cloud, una piattaforma che vuole creare una cornice europea di condivisione dei dati.

Non bastano però la raccolta e il confronto. C’è la necessità di tradurre i dati in qualcosa di concretamente utile alla clinica. A questo scopo potrebbe dare un forte impulso lo sviluppo del fascicolo elettronico che, se ben strutturato, assicurerebbe al paziente l’assistenza più appropriata ovunque si trovi in Europa, darebbe importanti indicazioni ai clinici e sarebbe essenziale per una diffusa archiviazione di dati correttamente strutturati. Un sistema integrato e ben concepito, unitamente ad un adeguato sviluppo di infrastrutture capaci di dialogare tra loro, potrebbe ad esempio risultare un supporto essenziale nelle attività di farmacovigilanza. Anche questi aspetti sono discussi da Forward, con gli interventi di Luca Pani, in qualità di regulatory della European Medicines Agency, e di Gianluca Trifirò, farmacologo dell’università di Messina.

“La possibilità di connettere sistemi diversi, combinare dati attraverso linguaggi condivisi, trasformare il rumore di fondo in nuove e utili informazioni, aumentare i punti di osservazione sui fenomeni, rendere più efficienti in termini di tempo e spazio le rilevazioni, sono tutti potenziali vantaggi che sembrano ora possibili”, spiega su Forward Antonio Addis, del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio. 

“Allo stesso tempo, bisogna tener conto dell’affidabilità dei risultati prodotti, della loro riproducibilità e di molti atri potenziali bias che rischiano di trasformare i big data in fonti di big error.” Ecco, in estrema sintesi, la complessa situazione in cui si trova la sanità. Già nei prossimi mesi ne sapremo di più. (Fonte: Quotidiano Sanità)