“Il Tar del Lazio ha ritenuto infondati nel merito i ricorsi presentati dalle associazioni e dai movimenti per la vita contro il Decreto del Commissario ad acta sulla riorganizzazione delle attività dei consultori nella Regione Lazio”. A darne notizia è una nota della Regione che ricorda come il Tar si fosse già espresso contro la richiesta di sospensiva dei ricorrenti e ora, con un giudizio nel merito, “accoglie in pieno la posizione assunta dalla Regione Lazio”.
In attesa che la sentenza venga resa pubblica, la Regione spiega che “rispetto ai ricorsi presentati dalle associazioni, i giudici hanno stabilito che: 1) le cosiddette ‘pillole del giorno dopo’ non sono farmaci abortivi ma semplici contraccettivi, come stabilito anche, con dati scientifici, dall’Agenzia italiana del farmaco – Aifa e dalla sua omologa europea, Ema; 2) l’obiezione di coscienza da parte dei medici, per quanto previsto dalla legge 194, non si può applicare alla certificazione dello stato di gravidanza, attestazione necessaria per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Tale certificazione, infatti, non riguarda l’IVG ma è la semplice attestazione di uno stato di salute”.
Secondo Gigli, “il TAR ha stabilito che le ‘pillole dei giorni dopo’ non sono farmaci abortivi, ma semplici contraccettivi richiamandosi alla posizione dell’AIFA che ha pedissequamente recepito quella dell’Agenzia europea per il farmaco. Ciò non tiene conto dei rilievi avanzati dal Consiglio Superiore di Sanità e delle contraddizioni con la stessa letteratura scientifica che ha portato alla commercializzazione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza. Ancora una volta gli interessi delle multinazionali del farmaco hanno prevalso sul diritto alla corretta informazione del medico prescrittore e delle pazienti che inconsapevolmente dovranno assumere il farmaco”.
“Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza – ha concluso il Presidente Gigli – appare singolare che questo diritto del medico venga aggirato con il pretesto che la certificazione dello stato di gravidanza sarebbe semplice attestazione di uno stato di salute e non già, come è evidente in questi casi, il primo indispensabile passo per l’esecuzione dell’aborto legalizzato”. (Fonte: Quotidiano Sanità)